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19 April 2024

Sentire lo sguardo – Comunicato stampa conclusivo

Comunicato stampa conclusivo

SENTIRE LO SGUARDO
Disturbi sensoriali e gestione della disabilità
negli anziani: risorse e aspettative.
Sabato 29 novembre 2014 – Aula Magna Università di Padova – ore 9,00 – 13,30

Si è tenuto sabato 29 novembre, nell’Aula Magna dell’Università di Padova il Convegno Sentire lo sguardo, Disturbi sensoriali e gestione della disabilità: risorse e aspettative.

Il benvenuto e un ringraziamento al Centro Studi Alvise Cornaro per l’organizzazione del convegno e, in particolare, per il Premio Cornaro alla Ricerca è venuto dal Prorettore dell’Università patavina prof. Francesco Gnesotto

“L’Università di Padova – ha detto – è a fianco del Centro Studi nell’individuazione di soluzioni che favoriscano una vita più autonoma e una maggior partecipazione sociale delle persone anziane.”

Dopo i saluti del Prorettore, è toccato alla Presidente del Centro Studi, Clelia Tabacchi Sabella, introdurre i lavori. “Sono vent’anni – ha detto la Presidente – che il Centro Studi, con lungimiranza, è impegnato sul tema dell’invecchiamento attivo che negli ultimi anni è diventato una risorsa. L’interesse degli studi sull’invecchiamento si collocano su due percorsi tra loro interconnessi. Uno è quello dell’invecchiamento patologico che si caratterizza dalla presenza della malattia e con la perdita dell’autonomia.

Il secondo percorso è quello dell’invecchiamento attivo che si caratterizza invece con la presenza di progettualità e vitalità. Oggi noi vogliamo concentrarci su questo secondo aspetto, per discutere però del disagio che comunque accompagna, con il passare degli anni, anche la persona che invecchia con successo.
 L’aumento della fragilità fa comunque parte della fisiologia e quindi c’è un disagio che non è conseguenza di una specifica patologia ma accompagna l’invecchiamento naturale e porta a un decadimento che, se non affrontato nel giusto modo, può comportare disagi importanti. Oggi ci focalizziamo su due sensi fondamentali; quello della vista e dell’udito cercando di capire come possiamo contrastare il loro decadimento e come convivere con l’affievolirsi delle loro funzioni.

“Occupandoci oggi di due sensi, la vista e l’udito, – a detto Stefania Maggi, Dirigente di ricerca dell’Istituto di Neuroscienze del CNR – Centro Studi Alvise Cornaro, che ha coordinato il convegno – e di come la disabilità fisica e cognitiva può derivare dalle loro disfunzioni, 

vogliamo capire come si può operare perché non diventino un handicap, un impedimento, un problema che va a incidere negativamente sulla qualità della vita dell’anziano”.

Il convegno era organizzato con due letture di professori Alessandro Martini e Edorado Midena e con una tavola rotonda, coordinata da Stefania Maggi, con la partecipazione di Gaetano Crepaldi, Angelo Ferro, Stefano Masiero e Chiara Cerea.

La prima delle due letture in programma è stata quella del prof. Alessandro Martini, Ordinario di Otorinolaringoiatria dell’Università di Padova dal titolo “Orecchio-cervello e invecchiamento”.
Nella sua lettura il prof. Martini, ha iniziato ricordando come l’orecchio non sia solo un registratore, così come l’occhio non è solo una macchina fotografica. “E’ uno dei nostri cinque sensi, quello deputato a fornire al nostro cervello le informazioni sonore e tra queste, molto importanti, quelle del linguaggio, della parola che ci permettono la comunicazione. L’orecchio sente, il cervello ascolta, interpreta, memorizza, agisce.”
Si tratta – ha ricordato il prof. Martini, di un organo molto piccolo, composto da pochissime cellule che possono morire in seguito a malattie, allo stesso invecchiamento e all’esposizione a rumori molto intensi.

Per Martini c’è un rapporto molto stretto tra calo dell’udito e le nostre capacità cognitive. ” Ipocusia, decadimento cognitivo e invecchiamento sono condizioni correlate tra di loro. Un’ipocusia severa aumenta di cinque volte il rischio di sviluppare demenza.” La diminuzione di capacità uditiva produce infatti isolamento sociale, depressione e decadimento cognitivo.
Ma, si è chiesto il professore, nasce prima l’ipocusia o il decadimento cognitivo? Si sente poco e quindi si sviluppa l’alzeimer?

“Sappiamo – è stata la risposta di Martini – che la riabilitazione uditiva è in grado di migliorare la qualità della vita del paziente che può preservare le sinapsi neuronali e l’organizzazione corticale, che è in grado di liberare dei fattori neurotrofici che potrebbero contrastare processi involutivi e l’insorgenza di una plasticità negativa.”

Per Martini esistono molte possibilità riabilitative che vanno dall’intervento chirurgico per le lesioni alla parti esterne e le protesi acustiche per le parti interne. Intervento, quest’ultimo, non amato per ragioni estetiche ma che permette però che il suono che arriva all’orecchio mantenga vive quelle parti del cervello deputate al suo riconoscimento e in particolare a quello delle parole. Infine ha ricordato che in caso di sordità grave c’è la tecnica dell’impianto cocleare, il cosiddetto orecchio bionico, che però è molto costoso. Un intervento si aggira infatti intorno ai 30.000 euro.

Ritornando al rapporto tra decadimento uditivo e invecchiamento attivo Martini ha comunicato i dati di uno studio compiuto su soggetti ultrasessantenni attraverso il test MOKA e il test che misura la scala di depressione. “I risultati sono stati molto interessanti e ci indicano che è significativa la differenza in termini di depressione tra chi è stato protesizzato e chi no.” Ci sono quindi strumenti interessanti per recuperare disabilità uditiva e restituire la persona anziana a un percorso di progettualità e di invecchiamento attivo.
Del prof. Edoardo Midena, Ordinario di Malattie dell’Apparato Visivo dell’Università di Padova, la seconda lettura dal titolo: “Occhio, visione, invecchiamento: da Galileo a oggi”. “E’ lungimirante – ha esordito Midena – discutere dell’invecchiamento sensoriale; i sensi sono infatti le nostre finestre nei confronti del mondo.
Ma perché partire da Galileo per parlare dell’occhio?

“Non solo – ha affermato Midena – perché è uomo legato all’Università di Padova e universalmente conosciuto; ma perché negli ultimi dieci anni della sua vita fu cieco e per questa ragione, nelle sue lettere, scrive la parola “disperazione”, e riferendosi a quella che noi oggi chiamiamo depressione, che è la situazione di chi perde la vista”. Oggi, ha continuato Midena, Galileo sarebbe stato curato e non avrebbe perso la vista.

Una grande ricerca epidemiologica condotta negli anni ’60 negli Stati Uniti, e precisamente a Framingham, ha evidenziato che nell’invecchiamento fisiologico e patologico dell’occhio le perdite progressive sono spesso drammatiche.
Negli anno ’80, dei ricercatori nordeuropei, hanno ipotizzato che se, all’epoca della ricerca, all’improvviso tutti avessero avuto un’età media di 105 anni tutti sarebbero stati cechi nella parte centrale del campo visivo, nella retina, l’elemento dell’occhio più importante.

Vedrebbero solo una macchia, se guardassero una persona non ne riconosceremmo la faccia. Questo perché la nostra retina non è tarata per diventare così vecchia. L’evoluzione porta allo sviluppo di una popolazione che invece, anche in tarda età, ci vede ancora.

Le cause di questa degenerazione: il passare degli anni e le malattie metaboliche. Un tempo potevamo solo assistere a questo fatto e sperare che la degenerazione fosse lenta. Oggi soprattutto, negli ultimi 8/9 anni, con l’utilizzo di alcuni farmaci, riusciamo a bloccare, a rallentare il fenomeno degenerativo. Ma il passo avanti che cerchiamo di compiere è, addirittura, quello di prevenirlo.

In termini più tecnici si tratta di una degenerazione maculare che può avere un suo percorso naturale, un consumo prolungato nel tempo che atrofizza la parte centrale della retina; e una più aggressiva, neurovascolare, che deforma la funzione visiva. Va considerato che il 30% della corteccia cerebrale è dedicata all’elaborazione degli stimoli visivi, che sono un processo dinamico, uno sforzo creativo e perciò provocano un’usura più intensa.

Con l’atrofizzazione della parte centrale della retina avviene che il paziente vede solo una macchia scura; non riconosce la faccia, non distingue il semaforo, non riesce a leggere.

Per prevenire in tempo, secondo il prof. Midena si “deve partire dall’ascolto del paziente. Questo è il primo passo.” Una diagnosi corretta e precoce, poi si passa alle cure.
La degenerazione maculare interessa il 62% delle persone sopra i 65 anni e quindi, parallelamente alle cure, si deve perciò pensare alla prevenzione.

In Italia è iniziata una “campagna” volta a conoscere per prevenire e portare questa patologia all’attenzione sia delle persone che degli operatori. Attraverso un monitoraggio svolto con un’unità mobile, oggi la compagna interessa la Lombardia, il Lazio e la Sicilia ma poi si allargherà alle altre aree del Paese, si vuole cogliere la degenerazione maculare al suo inizio. Si può così intervenire meglio.

Il prof. Midena conclude con alcune notizie buone. “Mentre la cecità in Europa non è cambiata, quella legata all’invecchiamento patologico sta invece calando.” La nostra corteccia cerebrale “apre canali”, si rigenera, “ci sono aree che vedono meglio facendo spostare l’area della “fissazione”, un concetto importante nella vista. Si tratta infatti non di un punto ma di un’area che continuamente elabora delle scansioni. Su quest’area, fondamentale per la vista, si può intervenire, spostandola. Si può quindi, sempre attraverso un approccio personale, stando dalla parte del paziente al quale interessa vedere, contenere le patologie e migliorare la qualità della vita.

Nell’aprire la tavola rotonda per un “approccio multidisciplinare alla disabilità”, il moderatore Stefania Maggi, ha voluto presentare insieme due dei quattro relatori, il prof. Gaetano Crepaldi e Angelo Ferro perché “nell’ambito della geriatria e gerontologia hanno dato vita a scuole e strutture di straordinaria eccellenza, riconosciute come modello in tutta Italia.”

E’ un fatto – ha dichiarato Crepaldi, Professore Emerito di medicina Interna Università di Padova – che “la disabilità su base cognitiva e fisica colpisce soprattutto le persone anziane. La causa principale è la malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza, una demenza grave che porta alla completa disabilità cognitiva e fisica e all’istituzionalizzazione dell’anziano.”

Si deve prima di tutto, secondo Crepaldi – intervenire sul fattore di rischio che è modificabile. 

“Inattività, fumo, diabete, obesità sono fattori modificabili che possono, se evitati, ritardare il percorso della malattia e far si che il cervello invece di deviare verso un invecchiamento patologico possa invecchiare regolarmente senza turbe.”

Nel passato l’Istituto di neuroscienze del CNR di Pisa ha fatto un esperimento sulla lucidità cerebrale dei topolini. Si è visto che alcuni di questi, inseriti in un ambiente arricchito di stimoli hanno incominciato a muoversi e interagire e ad avere un’attività fisica che li hanno portati a un aumento della massa cerebrale. Ciò vale anche per l’uomo? E’ stato quindi fatto uno studio clinico e sperimentale sull’efficacia di un intervento a livello cognitivo e fisico nelle forme iniziali di demenza.

“Il progetto – ha spiegato Crepaldi – considerava una forma iniziale di demenza o annebbiamento iniziale di due diversi gruppi; uno che manteneva la sua normale attività fisica e sociale nel tempo e un gruppo che per sette mesi, per tre volte alla settimana, per un’ora faceva un’intensa attività fisica aerobica, mentre per tre mezze giornate alla settimana si cercava di indurre un lavoro intellettuale intenso. Questi pazienti sono stati seguiti per sette mesi con uno stimolo cognitivo intenso e l’attività fisica e si era visto che dopo sette mesi avevano avuto una riduzione del danno cognitivo.”

Quindi era possibile ottenere nei pazienti un rallentamento nel processo di invecchiamento tale da essere assimilato a quello osservato nei topolini. Dopo la sospensione dell’attività e per altri sette mesi questi risultati si mantenevano.
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Questo ci dice che i fattori alla base dell’azione benefica dell’ambiente arricchito sono una strategia non farmacologica per prevenire deficit cognitivi, rallentarne la progressione e in qualche caso di ottenere una remissione. Si tratta di risultati che possono avere implicazioni pratiche molto significative per prevenire la demenza senile nell’uomo.

Un intervento tutto teso all’affermazione dell’integrità della persona, contro ogni sua segmentazione, è quello sviluppato da Angelo Ferro, Presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione. “La mia esperienza – ha esordito – viene da lontano, dalla metà degli anno ’50, quando il Vescovo di Padova ha messo insieme Nella Berto e don Antonio Varotto, due persone straordinarie, che avevano il problema di cosa fare di persone ancora giovani che erano espulse dal mondo del lavoro. Dove metterle? In stanzoni ad aspettare di morire?”
Parte da lì l’avventura dell’Immacolata Concezione che conta oggi 2250 ospiti accolti in 9 centri nel Veneto con 1600 persone che li curano e circa 400 persone tra volontari e longevi attivi.

Accanto a quello di “persona”, Ferro introduce un secondo concetto, legato al primo, e che sta alla base dell’azione dell’OiC. 

“Stiamo rivedendo il teorema di Ricardo della “specializzazione”, un concetto che doveva valere in ambito economico e che invece ha finito per invadere tutta la società. “Così abbiamo segmentato l’uomo, e ci troviamo di fronte a un uomo che non capisce più chi è e che invece, aumentando l’età della vita ha bisogno di ricomporre un senso dell’esistenza. Non si può, ci siamo chiesti, costruire qualcosa d’altro e far diventare la longevità una risorsa?”

L’OiC ha cercato di farlo a partire dalla residenza di Padova dove sono accolti circa 750 ospiti non autosufficienti affetti da diverse patologie e circa 100 persone autosufficienti che vivono in condizioni normali, cercando di portare la società a interagire con la struttura e i suoi ospiti.

“Quando diventano non autosufficienti cosa facciamo? – Si è chiesto Ferro – Li teniamo chiusi in attesa della morte? No, ci rifiutiamo ne vogliamo anticipare la loro morte come qualcuno vorrebbe fare. E allora abbiamo fatto un asilo nido, così portiamo i bambini e le mamme, abbiamo fatto un museo del giocattolo, un pistodromo per bambini delle scuole elementari e si va dalla bicicletta alla scuola per la patente per motocicletta. Per i ragazzi tra i 18 e i 22 le assicurazioni aumentano il premio del 40% per l’alto indice di danni da loro provocato. Attraverso un accordo i ragazzi da noi certificati evitano questo aumento.”

Sono alcuni esempi di un approccio che punta alla multidisciplinarietà di intervento, avendo in mente la persona contro la sua segmentazione.

Altro elemento importante nell’approccio dell’OiC è il contatto con la natura che rende più sereni. Fa parte delle attività non farmacologiche che sono molto importanti.
E’ stato osservato che chi soffre di demenza instaura un rapporto vero con le piante. “I nostri ospiti – ha detto Ferro – la cui età media è di 91 anni – dopo un rilassamento con la musica escono e cercano un contatto fisico con un albero, con la terra per favorire questo fattore stiamo progettando un giardino sensoriale.” Ferro ha quindi fatto riferimento al caso Schumacher. “Ha recuperato non tanto per le medicine ma per il contatto con la natura e perché c’era la moglie che gli parlava. Sotto il recupero – ha continuato – c’è il rapporto personale di qualcuno che dedica l’anima.”

Se porti dentro strutture di accoglienza delle persone sane, davanti a questa fragilità, capiscono il senso, la cultura del limite. “Quando parlo di ciò ai miei amici imprenditori lo capiscono e ci aiutano”. Ancora alcuni esempi di integrazione tra società e struttura. Le paraolimpiadi hanno dato l’input allo sport per i disabili e oggi abbiamo un palazzetto dove i giovani disabili fanno i coach dei disabili vecchi. “Il nostro – ha continuato Ferro – è anche un laboratorio di talenti dove inventiamo soluzioni tecnologiche pensate a partire dal bisogno del singolo paziente per risolvere problemi di disabilità che migliorano la qualità della vita.” Per una ragazza ceca sono stati fatti venire due massaggiatori coreani cechi. Sono i migliori, perché hanno sviluppato il tatto e oggi lei lavora ed è una brava massaggiatrice. Infine per Ferro la longevità fragile può essere una risorsa “perché induce un sentimento di solidarietà.”

L’OiC prevede poi dei percorsi per l’anzianità attiva. “Abbiamo dei percorsi per persone che sono andati in pensione e che hanno davanti un progetto di vita attiva di almeno 20 anni. Oggi sono circa 550 quelle che hanno un nostro attestato per aver partecipato a 500 ore di corso. Sono Produttori di relazione.” Anche qui un esempio. “Chi può spiegare a una giovane infermiera moldava la competizione tra Coppi e Bartali evocata da un anziano disabile che sta curando? Come può relazionarsi su questo tema? Ecco il produttore di relazione, ecco un longevo attivo che ha fatto i nostri corsi. Ed è solo un esempio.”

Un altro percorso è quello del cuore. “Il rapporto più bello tra due persone, ce lo dicono le ricerche sociologiche, è quello tra nonno e nipote. Ma deve essere solo di sangue o può essere anche antropologico?” L’OiC è per la seconda ipotesi e ha istituito la figura dei nonni del cuore. Anche qui un esempio. Due scolaresche, cinquanta bambini con due nonni del cuore che li seguono. Vanno a casa a fine giornata distrutti ma felici. “Tutto gratuitamente, finché regge il sistema pensionistico, senza di loro il servizio non reggerebbe economicamente.”

Gli esempi e le sperimentazioni si moltiplicano perché l’OiC è convinta che bisogna creare dei “contesti” per avere un invecchiamento attivo. “Abbiamo costruito una infrastruttura di coesione sociale. – Ha concluso Ferro – messo insieme persone diverse e ti trovi a respirare un’atmosfera di gioia. Ringrazio quindi Clelia per quello che fa e sapendo che per far questo ci vuole una donna e una donna sensibile. Non per niente nell’OiC su 2000 persone 86% sono donne.”

Gli ultimi due interventi della tavola rotonda vedono protagonisti Stefano Masiero, Ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Padova sul tema della riabilitazione delle disabilità sensoriali e di Chiara Cerea, Presidente di Design for All Italia sul ruolo dell’ambiente per dare all’anziano le possibilità di espressione.

“Anche la fisiatria – esordisce Masiero – non può prescindere da un approccio multidisciplinare. Anche noi fisiatri ci poniamo con un atteggiamento globale. Il miglio modo di migliorare la qualità della vita è quello di affrontare i casi in modo: funzionale, fisico, sociale ed emozionale.”
Inoltre, per la riuscita di un programma di riabilitazione è di estrema importanza il ruolo che gioca la famiglia, che viene sempre coinvolta nei programmi riabilitativi di disabilità degli anziani.

“L’aspetto fisico – ha continuato Masiero – è solo uno degli aspetti che deve essere considerato all’interno di un team impegnato nella riabilitazione, avendo come obiettivo la persona nella sua interezza. Quindi competenze strettamente mediche ma anche sociali e familiari senza limitarsi al momento ospedaliero. La persona esce dalla struttura e deve continuare ad essere seguita nel suo ambiente sia sociale che familiare.”
Può avere problemi deambulativi e l’ambiente che lo accoglie può non essere attrezzato. Può aver bisogno di una carrozzina personalizzata, di ausili pensati apposta per lui. Anche gli esercizi fisici, che sono terapeutici, vanno indicati e seguiti. Bisogna indicare quando farli, per quanto tempo, con che modalità. Sono aspetti importantissimi.
Nelle persone anziane le cadute possono avere conseguenze molto gravi e quindi si deve intervenire con la prevenzione.

“Oggi – continua Masiero – le nuove tecnologie sono diventate molto importanti e ci permettono risultati che fino a poco tempo fa erano impensabili. La tecnologia in ambito riabilitativo è entrata da poco e ci permette, ma è solo un esempio, di dosare una stimolazione cerebrale su una persona colpita da ictus e vedere che dopo due settimane il cervello incomincia a muoversi in modo confuso e che dopo sette settimane si è riordinato, riorganizzato.”

E’ importante, ha concluso Masiero, che via via gli ospedali si stanno organizzando con aree dedicate alla riabilitazione e che gli aspetti sociali e i percorsi riabilitativi personalizzati entrano nella cultura comune. Infine, fare esercizi, per persone di tutte le età, può prevenire complicanze, ridurre l’ospedalizzazione, e, si ritiene, portare ad un allungamento della vita e a una sua migliore qualità.

Chiara Cerea, Presidente “Design for All Italia” spiega la missione dell’associazione con il recente cambio di nome. 

“Vent’anni fa ci chiamavamo Istituto Italiano per il Design della Disabilità, il cambio di nome sta a sottolineare una modifica sostanziale di prospettiva culturale. Oggi vogliamo pensare il design e l’architettura “per tutti” con l’obiettivo di legare sinergicamente la richiesta clinica con la realizzazione architettonica-artistica con strutture, prodotti e ambienti che non penalizzino l’aspetto estetico.”
Una progettazione, quindi, attenta all’estetica ma che privilegi il benessere psicofisico e che sia capace di offrire intimità, calore, riservatezza, serenità e stimolo per rallentare il decadimento psico-fisico.
“Come per le altre specializzazioni – ha concluso – anche la progettazione architettonica deve agire in team che comprendano altre competenze. Infatti c’è un’enorme responsabilità nella progettazione architettonica degli interni. Per un buon progetto si deve conoscere la natura umana, la percezione degli spazi, il bisogno di luce, dei colori, della segnaletica. Dobbiamo evitare delle difficoltà, degli autentici stress che interventi sbagliati possono causare su chi usufruisce degli ambienti e che magari si trova in uno stato di fragilità.

A conclusione Stefania Maggi così commenta i lavori: “E’ stato un convegno pensato per sottolineare il concetto che l’invecchiamento della popolazione non deve essere pensato come un problema della società bensì come una grandissima vittoria dell’ultimo secolo che ha portato la popolazione a una longevità eccezionale. Oggi noi sottolineiamo che l’invecchiamento è una sfida, una sfida positiva che riconosce anche nella disabilità fisica e/o cognitiva una potenzialità perché non necessariamente ha come esito l’handicap. 

Oggi ci sono interventi farmacologici e non farmacologici che si basano in particolar modo sull’attività fisica e sulla nutrizione che sono alla base sia della prevenzione che della riabilitazione con un recupero funzionale che può permettere all’anziano di vivere con una buona qualità della vita.”

Al termine del Convegno sono stati consegnati i Premi Cornaro alla Ricerca a Gian Paolo Fadini, ricercatore del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Padova e Enrica Migliaccio, ricercatrice del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, risultati vincitori Ex aequo.
A consegnare i premi oltre alla Presidente Clelia Tabacchi Sabella, il prorettore Francesco Gnesotto e il vicesindaco di Padova Eleonora Mosco.

La mattinata è stata chiusa da un breve e molto applaudito concerto offerto da Asclepio Ensemble, l’Orchesta dell’Azienda Ospedaliera di Padova diretta da Alois Saller.